Guardo le gocce scivolare sul vetro del finestrino. Il
taxi è fermo sulle quais incastrato
fra altre auto immobili e bagnante dalla pioggia.
Fuori fa buio, guardo l'ora. Sono le 18 e 30. Sospiro pensando al
ritorno della primavera. Per fortuna, sono partito in anticipo. L'aereo decolla
alle 20 e 40 ed ho già fatto il check
in.
Con la mano cerco il mio affezionatissimo Blackberry. E' vecchio
di due anni e vogliono già sostituirmelo con un'altra diavoleria coreana. Io
resisto perché sono affezionato a quel rettangolino che regola la mia vita. La
lumicina rossa lampeggia.
Controllo.Giusto qualche e-mail dell'ufficio dove
sono in copia. Nessun messaggio dei miei figli né del mio beneamato capo.
Ripongo l'amato oggetto dentro il taschino interno della giacca in
corrispondenza del cuore. Caro vecchio Blackberry non lascerò che ti buttino così!
Ti riscatterò e ti lascerò in un cassetto permettendoti di godere la tua
meritata pensione!
Sospiro di nuovo e riprendo a guardare fuori.
La Senna scorre lenta e, gonfia per le piogge, se ne infischia di
tutte quelle auto ammassate sui suoi bordi.
- Mi scusi, Monsieur,
ma lei è già stato mio cliente? - mi chiede l'autista.
Guardo il suo quarto di profilo e poi cerco i suoi occhi nello
specchietto retrovisore.
- E' possibile. Quando, secondo lei? -
- Circa una settimana fa. L'ho portata al ristorante a Montmartre.
Lei ha una moglie bionda. -
Non ho mogli e non ne voglio ma sarebbe troppo lungo da spiegare. Sì,
effettivamente, corrisponde.
- Sì, ha ragione. Mi scusi ma non l'avevo riconosciuta. - in effetti
non ho il minimo ricordo di lui, ma questo ha poco d'importanza.
- Lei è italiano? -
- Sì. –
- Si sente. –
Mi sembra che la pelle del tassista sia scura.
- E lei, di dov'è? – azzardo.
- Francese. Perché? – mi sembra di sentire una sfumatura ostile.
- Così … la Francia è un paese con presenze multiculturali. –
- No, lei me l’ha chiesto perché ho la pelle scura. –
Mi sento un verme.
- Anch'io d’estate ho la pelle scura … - azzardo, cercando di mediare
penosamente – Sono siciliano. – come se esserlo significasse appartenere ad una
etnia particolare.
- Sicilia … mafia. –
Me lo merito. Sì, me lo merito.
- Sono d’origine algerina. – prosegue il tassista con tono più conciliante
- ma io sono nato in Francia. Ho la nazionalità francese. –
Il traffico sembra fluidificarsi e lentamente riprendiamo la corsa
ma l’aeroporto è ancora lontano.
- E’ mai stato in Algeria? – chiedo.
- Sì, mio padre decise di ritornarci quando io avevo otto anni. Andammo
in Cabilia, la regione della mia famiglia. Ci siamo restati sei anni. Tornammo
in Francia quando avevo quattordici anni. Fu il terrorismo che ci fece di nuovo
lasciare il nostro paese. –
- Il terrorismo? – chiedo pensando agli anni di piombo della mia gioventù.
- Sì. Un terrorismo fratricida e feroce … ricordo ancora quando
trovammo la testa mozzata di mio cugino di fronte all'uscio di casa di mio zio.
Mio padre decise allora ch'era meglio tenere lontana la sua famiglia da quella
carneficina. –
Mi passano veloci davanti agli occhi le scene di violenza a cui ho
dovuto assistere nella mia vita: l’assassinio d’un mafioso in un bar, i
pestaggi a sangue eseguiti dai katanga o dai fascisti.
Penso ai miei figli … vorrei che non vedessero mai tutto ciò.
- Sì, suo padre fece bene a riportarvi in Francia. –
- Ma io voglio tornare un giorno in Algeria. Vorrei tornarci per restare,
anche se ho la nazionalità francese. Chissà perché ma i francesi mi fanno
sentire diverso da loro. Lo sa cosa mi disse un giorno un cliente ? –
- No, cosa le disse? –
- Che io ero un arabo per bene, un algerino integrato! Mio padre
può essere un integrato ma io sono nato qui … parlo bene il francese e male
l’arabo. Che cazzo d’integrato sono? –
Non rispondo e preferisco che cada il silenzio nella vettura.
Ormai ci siamo, avanziamo velocemente. Abbiamo lasciato le quais.
- Ancora qualche anno e tornerò in Cabilia con i miei figli. Sì,
non sono francese sono uno straniero come lei. – dice a conclusione dei suoi
pensieri.
Le goccie di pioggia percorrono trasversalmente il vetro del
finestrino trascinate dalle velocità della macchina.
Dentro di me fischietto il motivetto d’una vecchia canzone di Burt Bacharach, colonna sonora di un film. Nella mente mi scorrono le immagini del film.
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