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martedì 20 maggio 2014

Paese che vai, olio che trovi


- Caspita, sono proprio piccoli questi indonesiani! –
Mi mordo la lingua dopo aver parlato. Guardo i miei compagni di viaggio: non sono mica molto più alti!
Christophe mi sorride comprendendo il mio imbarazzo. Michel Chan come tutti gli orientali resta inespressivo.
Siamo all'aeroporto internazionale di Kuala Lampur. Dobbiamo recarci per una visita lampo a Jacarta. Una riunione di mezza giornata in un hotel vicino all'aeroporto. Poi rotta a Singapore con scalo finale a Ho Chi Minh City.
Tutti questi fusi orari! Alla fine della settimana sarò stanco morto, dopo il Vieth Nam ci sarà Tokio! Cristo, ho quasi sessant'anni mica sono un ragazzino!
L’imbarco non dovrebbe tardare. I viaggiatori che affollano la sala di fronte al gate sembrano per la maggior parte degli immigrati che hanno lasciato la campagna. La Malesia è ricca, più dell’Indonesia. Questi lavoratori tornano a casa.
Penso a Mark, lui viene dallo Sri Lanka. Lavora presso di noi, in Sicilia ed è arrivato in Italia dieci anni fa. Su una barca piena di disperati come lui. Due mesi di viaggio su mezzi di fortuna pagando le mafie dei paesi che attraversava. 
Adesso,tutto quello che guadagna è destinato al suo villaggio dove crescono i suoi due bambini. Non gliene frega niente di stabilirsi in Italia, lui vuole morire sulla sua isola. Faceva il pescatore prima ed anche lui vuole tornare a casa.
- Dove vive la tua famiglia? – chiedo a Michel Chan.
- A Kuala Lampur. –
Lui è responsabile del sud-est asiatico. E' cinese.
- Perché non a Giacarta? –
- Il costo della vita è più alto e poi è una città caotica. Il traffico è pauroso. Kuala Lampur ha molte più infrastrutture, è meglio organizzata. –
- Bambini? –
- Due. –
Mi guardo in giro. Christophe ed io siamo gli unici occidentali. Mi sento bene in mezzo agli indonesiani. Le donne che portano tutte un fazzoletto attorno alla testa, unico segno della loro religione d’appartenenza. Parlottano fra di loro in maniera discreta ma continua e producono un brusio di sottofondo come quello delle api operose di ritorno all'alveare. Sono pieni di dignità e quasi tutti in coppia, mi danno l’impressione di persone umilmente tenaci. Si legge la gaiezza nei loro occhi.
- I Malesi hanno cominciato prima a costruire ed ad impegnarsi per attrezzare il loro paese. – mi dice Christophe – Fra i due paesi c’è una generazione di differenza. –
- … ed i tuoi bambini vanno in una scuola cinese. – chiedo a Michel Chan.
- No, internazionale. Però fanno due ore di mandarino alla settimana. A noi non piace il metodo d’insegnamento cinese. –
- Perché? –
- Troppo severo, troppo competitivo. –
- Alla cinese. – aggiunge Cristophe. Lui è responsabile finanziario di tutta l’Asia - Come credi che la Cina sia riuscita a forzare le tappe per creare la sua economia? Adesso hanno bisogno di creare una classe media, una classe dirigente che s’imponga sul piano mondiale. In tre generazioni si è passati dal contadino al manager. Quante generazioni ci sono volute nei paesi occidentali? –
Guardo il francese dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri, nato e cresciuto a Aix-en-Provence. Prima che me lo dicesse credevo che fosse originario della Loira.
- … eh tu, da quanto tempo vivi a Shanghai? -
- Ormai due anni … prima ero in Corea, a Seul … il sistema scolastico coreano è ancora più severo. Gli studenti, fin dalle elementari, studiano sempre. Cominciano la mattina e finiscono la notte. Dopo la scuola normale, vanno in quella privata … li massacrano di nozionismo! –
- Ah sì, ed io che credevo che il paese principe del nozionismo fosse la Francia! –
- Ah no, no … ti posso giurare che il nostro insegnamento è rose e fiori (espressione che non esiste in inglese ma il traduttore si lancia in libertà interpretative) rispetto a questi paesi! –
- Caspiterina! – sono veramente impressionato.
- … ma c’è un problema in tutto questo! –
Lo guardo nascondendo l’apprensione che è nata in me pensando all'educazione impartita ai miei figli … certamente meno dura e sicuramente scevra da ogni stress … insomma all'italiana. I figli so' pezzi 'e core!
- Quale problema? –
- L’assoluta mancanza di fantasia. Questa educazione uccide qualsiasi capacità creativa. –
Mi rilasso … c’è ancora qualche chance per gl’italiani, allora!
Una hostess dalla vocina tutta zuccherata annuncia l’imbarco … prima quelli della classe business e noi, tre signori con trolley e cravatta, lasciamo i nostri posti.
Mi siedo accanto al finestrino.
I passeggeri entrano in fila indiana fra le due serie di sedili, tutto procede con ordine e disciplina. L’aereo si riempie ben presto.
Poco prima che le porte si chiudano fa il suo ingresso un imponente signore con una camicia multicolore di seta, un po’ pacchiana. Prende posto di fronte a me. Deve essere un riccone importante perché è seguito da due uomini mingherlini con cravatta che gli parlano continuamente e con rispetto. Lui non sembra neanche ascoltarli. Sulla mano destra porta un anello carico di pietre preziose e tanto grosso da sembrare un tirapugni. Prima di sedersi il grassone mi fissa ed io lui. Ha uno sguardo volgare ed arrogante.
Sì, avrai tanti soldi ma sembri un grosso porco!
Decolliamo ed io osservo la terra allontanarsi sempre di più. Sotto chilometri e chilometri quadrati di palme per la produzione d’olio, lo stesso che adesso è considerato nocivo dall'industria agro-alimentare occidentale.
Penso ai miei ulivi in Sicilia.
Another oil, another country



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mercoledì 14 maggio 2014

Charles de Gaulle e Fontanarossa


Sono all'aeroporto, attendo l'imbarco.
Certe volte mi reco a Charles de Gaulle con buon anticipo non perché tema di perdere l'aereo ma per sedermi in un angolino ed osservare la gente che affolla quel luogo.
Essendo un gran viaggiatore ho acquisito il diritto d'andare nel lounge della business class ma non ci vado volentieri. Giusto per bere un caffè o per fare colazione quando il volo è mattiniero. Esco quasi subito e m'aggiro per l'aeroporto o mi siedo vicino al gate tenendo d'occhio l'imbarco e godendomi lo spettacolo dei viaggiatori.
Quant'è bello osservare gli altri!
Cerco d'entrare nella loro vita come un ladro, in silenzio ed attraverso loro cerco d'arricchire la mia galleria di personaggi.
Da quale paese provengono? Sono abbastanza bravo a rispondere alla domanda quando si tratta d'europei. Mi trovo molto più in difficoltà con gli asiatici e con gli africani. Anche con i sudamericani non d'origine europea ad essere sincero!
Dovrei ampliare la mia capacità di discernere. Forse dovrei passare ancora più tempo negli aeroporti?
La seconda domanda è: che mestiere fanno?  Mica facile capirlo, soprattutto quando la gente viaggia in veste di turista! La terza, quella che mi piace di più, è: quale personalità nascondono?
Su quest'ultima mi soffermo di più e m'impegno per trovare la buona risposta.
Quel signore è un incazzoso? E quella signora con quel fare perbenino è di fatto un'assatanata a letto? Il ragazzo con quella camminata dinoccolata è uno che ama lo sport? ... e l'uomo al telefonino? Sta parlando alla sua amante? Quel prete è un parroco di provincia? Quella donna con l'aria così altera è poi veramente una stronza? ... ... ...
Da quando coltivo la passione dello scrivere (forse da sempre) osservo i miei consimili. Alcuni, quelli con i comportamenti più atipici, cerco di memorizzarli. Da qualche mese (l'età che diventa sempre più matura lo giustifica) ho preso l'abitudine d'annotare su un libricino giallo i "tipi" che m'attirano. Giusto qualche parola che possa aiutarmi nel richiamare alla memoria i gesti dei miei inconsapevoli attori. Quando mi concedo alla scrittura ricupero quei ricordi e, attraverso essi, creo dei personaggi che di fatto sono l'insieme di molte altre persone. Non faccio niente d'originale poiché quasi tutti gli scrittori devono seguire lo stesso mio processo. Quindi la famosa frase "Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale" riportata alla fine dei romanzi è puramente falsa. Niente è casuale ma tutto è premeditato in uno racconto.
Basta ipocrisie, cari autori! Quando fate uccidere qualcuno che casualmente sembra il vostro vicino (sì, quello stesso che ascolta  della musica Metal Rock alle cinque di ogni mattina) non è per caso ma si tratta d'un omicidio premeditato e volontario che, se fosse veramente eseguito, non vi salverebbe dall'ergastolo! ... e senza neanche far valere le attenuanti generiche! Noi scrittori o presunti tali siamo tutti dei psicopatici!
Comunque bisogna dirlo: all'aeroporto di Parigi i viaggiatori devono essere ben osservati per poter derubarli di ciò che nascondono dentro! In un aeroporto del Sud dell'Italia, no ... non c'è bisogno di far troppo fatica perché, anche se non ne avete voglia,  sono loro che vi spiegano chi sono o vi procurano così tanti indizi che non avete bisogno di fare molta fatica per catalogarli. Il furto è più facile, sembrerebbe quasi che la gente ami farsi derubare dei propri segreti. 
Per esempio, avete mai fatto la coda prima del controllo bagagli all'aeroporto Fontanarossa di Catania? Un'esperienza unica. Non dico che sia piacevole ma certamente unica!
Come ci si accorge che si è a Catania e non a Roissy (paese che ospita l'aeroporto Charles de Gaulle)? No, non per gli edifici e neanche per il numero degli aerei ... troppo facile ... ma per la coda prima dei controlli di sicurezza!
Cosa la contraddistingue?
Prima caratteristica: la lunghezza. A Fontanarossa la fila è sempre chilometrica in ogni ora del giorno di qualsiasi anno. Fino a qualche mese fa era caotica adesso, in verità lo è meno poiché da qualche mese si è scoperto anche in Sicilia la coda a  forma di serpente.
Seconda caratteristica: gli accompagnatori. Affollano spesso l'ingresso delle file. C'è un'affezione particolare fra la gente del Sud e per questo i distacchi sono lunghi e cerimoniosi. Forse i lontani ricordi d'intere famiglie emigrate in paesi lontani giustifica ciò. Quindi  l'etichetta locale obbliga l'attesa e non si lascia il parente, il conoscente o l'amico fino a quando non si è sicuri che parta. Capita anche che in alcuni casi gli accompagnatori/trici sono così ostinati che seguono l'accompagnato finché non si trovano davanti alla solita signorina (scontrosa e maleducata) che, sbarrando il passaggio, chiede il boarding pass. Non vi dico il caos prodotto dagli accompagnatori/trici quando devono tornare indietro percorrendo all'incontrario la fila.
Terza caratteristica: il cicaleccio della gente. Non è difficile conoscere i fatti altrui perché, mentre la coda si snoda, la gente parla e, anche se la buona creanza suggerisce di non ascoltare, si finisce sempre per raccogliere delle frasi. Quindi alla fine del percorso a serpente si sa tutto su zio Pippo che soffre d'infiammazione della prostata, su sua moglie che ha avuto una forma di dissenteria che è durata due giorni (non si capisce se le due cose sono legate), sul raccolto del giardino di limoni, sulle nozze della nipote che s'è sposata con uno di Milano, sul figlioccio che è entrato nei carabinieri, sulla badante di zia Carmela che è rumena ... ... la prima conseguenza di ciò è il venir meno dell'esigenza di rubare i segreti della gente, tipica dell'aspirante scrittore. Gli si offre tutto su un piatto impigrendolo mentalmente e favorendo il progredire della demenza senile. Forse per questo motivo ci sono tanti scrittori meridionali? Sono più facilitati rispetto ai loro colleghi nordici nella raccolta di spunti per le loro storie?
Quarta caratteristica: l'ansia di fronte ai controlli. I tapis roulant dei raggi x ed i metal detector scatenano il cronico timore dei meridionali d'essere sottoposti al benché minimo test. Le scene si ripetono e denotano la diffidenza dei passeggeri.
La domande sono sempre le stesse: chi s'appropria dell'acqua, del profumo, del deodorante, della crema di bellezza che superano  i 100 ml e di cui non è permesso il trasporto a bordo? Chi si prende la forbicetta? Ed il coltellino svizzero?
I sospetti cadono immancabilmente sui controllori che hanno l'immagine di approfittatori. Non è infrequente che gli accompagnatori che hanno risalito la fila siano di nuovo richiamati indietro per poter consegnare a loro l'acqua, il profumo, il deodorante, la crema di bellezza, la forbicetta ed il coltellino ... Insomma attraverso quei controlli si vivono sofferenze talvolta insopportabili anche se temporanee.
Avete mai osservato lo sguardo sofferente delle signore che devono separarsi dai loro gioielli e depositarli nell'apposita vaschetta? L'apprensione che si legge negli occhi delle dame merita una segnalazione alle organizzazioni umanitarie mondiali. Ma come si fa a separarsi della collana della zia Carmela (la stessa che ha la badante rumena) riponendola dentro un vassoietto che sparisce a sua volta dentro una macchinetta dalla tendina di plastica nera? E se poi qualcuno se l'arrobba?
Ma tutta la mia simpatia va a colui/colei che, prima di passare attraverso il metal detector, osserva con sguardo spasmodico il bagaglio a mano attraversare i raggi-x e chiede all'addetto:
- Vado a Milano a trovare mio nipote che vive lì e si sta prendendo la lauria in incegneria. Che fa? Ce la posso portare due chili di sasizza col finocchietto?
... ... semplicemente grandioso!
Chiamano il mio volo.
Mi alzo e mi metto in colonna per l'imbarco. Una fila francese, non catanese.
Però, diciamocelo, il nome dell'aeroporto di Catania è più bello di quello di Parigi!
E se invece d'intitolarlo a Charles de Gaulle lo chiamassero Fontain Rouge?
Très charmant, n'est-ce pas?

mercoledì 7 maggio 2014

Catania is happy too

Foto: Serate in famiglia

L'uomo delle rose entra nel ristorante. Un indiano ... anche qui a Catania.
S'avvicina ad una coppia che gli fa cenno di no.
Guarda in direzione del nostro tavolo, anche io gli faccio un gesto che lo scoraggia ad avvicinarsi.
Gl'invitati alla cena del mio compleanno parlano fra di loro. Io non li ascolto ed il mio sguardo vaga all'interno del locale. Oggi dovrei entrare nel mio cinquantanovesimo anno della vita ... mia madre e mia zia mi dissero che nacqui intorno alle sei e mezza del pomeriggio ... guardo l'orologio: quasi le dieci. Eh sì, sono già dentro al cinquantanovesimo! Chissà come me lo gioco quest'anno? ... se me lo giocherò ...J
- Signor Italo, ha bisogno di qualcosa? - mi chiede il cameriere.
- No, niente. Va tutto bene, grazie Alessandro. - gli sorrido. Gli voglio bene. Ha gli occhi dolci di chi ancora si sa stupire. Lavora da quando aveva tredici anni. Adesso ne ha ventisette quanto il mio primogenito. Sono amici ed è mio figlio che ha voluto portarmi nel ristorante dove lavora. Lo chiamano Papone un po' per la sua stazza ed anche per il suo carattere gentile ed accomodante. Fra gli astanti sono l'unico che lo chiamo col suo vero nome.
Lascio ancora girovagare il mio sguardo attorno a me ... quando la mia attenzione torna sulla nostra tavola scopro che i miei invitati si sono tutti alzati, sono solo con mio figlio.
- Sono andati a fumare. - mi dice mio figlio che siede di fronte a me. Mi sorride quasi per scusare la mancanza d'etichetta dei suoi amici.
- Ah capisco. - gli sorrido anch'io. Entrambi sappiamo che certe regole c'impedirebbero di fare altrettanto anche se fossimo fumatori.
- Come va, papà? -
- Bene, tutto bene. -
- Piaci ai miei amici. -
- Anche loro, mi piacciono. Gente genuina ... gente che si spacca la schiena. -
Ritornano portando con loro quell'odore di nicotina che disturba le mie nari da quando ho smesso di fumare. Come tutti gli ex sono divenuto una specie di talebano e non risparmio le mie reprimenda a chi s'ostina a drogarsi di tabacco.
- Ma siete sicuri che fumare sia intelligente? -
Sì, forse non dovrei essere così diretto e quasi offensivo ma in fin dei conti è il mio compleanno e loro sono i miei invitati!
Ridacchiano con fare imbarazzato.
- No, non è intelligente ... ma è più forte di me: fumo da quando avevo nove anni. Da quando ho cominciato a lavorare. - mi dice Carmelo, sessantatré anni e custode dello stadio Massimino.
Sua moglie si chiama Carmela, anche lei fumatrice. Bravissima cuoca in un ristorante etneo. Sono il papà e la mamma della ragazza di mio figlio.
- A nove anni, hai cominciato? -
- Parli del lavoro? ... eh certo, non c'erano soldi a casa! Quelli che guadagnavo li portavo a mia madre. La stessa cosa facevano i miei fratelli. -
Lo guardo, doveva essere un bell'uomo da giovane ... bellezza sicula.
- E cosa facevi? -
- Il picciotto in un bar. -
Io me li ricordo quand'ero bambino i miei coetanei che servivano ai tavoli. Vedendoli io mi sentivo a disaggio (notare che m'hanno vestito con i pantaloni all'inglese ed i calzettoni fino a quasi l'età di quattordici anni! I ragazzetti che lavoravano portavano molto prima i pantaloni lunghi per dissimulare la loro età).
- Altri tempi ... non si era lontani dalla fine della seconda guerra mondiale. Io ricordo ancora a metà degli anni sessanta gli edifici distrutti dalle bombe. La ricostruzione in meridione è arrivata più tardi. -
- O te ne andavi via o se restavi qui e facevi i lavori che Catania t'offriva. -
Sembrano lontani quegli anni ... me li ricordo, sono stati tanto istruttivi e mi hanno fornito il bagaglio sensoriale che mi ha permesso di navigare su questo mondo.
Il meridione per me, in termini d'esperienza umana, è più ricco rispetto al resto dell'Italia. Vi è maggiore commistione degli strati sociali. Le barriere sono meno invalicabili ed è possibile conoscere l'umanità nella sua interezza. Quando studiavo in Sicilia nelle mie classi c'era il borghese, il proletario, il contadino, il sottoproletariato, chi aveva in famiglia un pregiudicato. Si cresceva insieme ed indirettamente s'apprendeva un po' degli altri. Nel mio liceo a Milano eravamo tutti dei borghesi ... qualcuno più ricco, altri più poveri. Certo la conoscenza del Latino e del Greco era ben superiore ma cosa apprendevo sui miei consimili! A posteriori mi dico fortunato per aver fatto il mio percorso di vita. 
Alla fine del liceo conoscevo le due realtà dell'Italia: il Nord ed il Sud. 
Guardo Carmelo e lo scuso d'essere un fumatore.
- Era dura ... vero? - chiedo.
- Certo che era dura! Mi pagavano una miseria. Un giorno chiesi a mia madre di prepararmi un thermos con l'acqua calda. Allungavo così i caffè che portavo negli uffici. Allora non esistevano le macchinette distributrici e gl'impiegati ordinavano le bevande ai bar. I caffè in più me li facevo pagare a metà prezzo dai commessi ed intascavo i soldi. -
Tutti ridiamo. 
- Ma che spirtuni, ma maritu (che furbo, mio marito; nota del traduttore)! - esclama Carmela.
- I soldi li riuscivo a fare anche con i cannoli mangiati a metà ... quando andavo a sparecchiare i piattini con i dolci sbocconcellati ci mettevo un mio capello. Dicevo al padrone che il cliente non aveva voluto pagare e ... m'intascavo il conto! -
- Ma così rubavi! - gli dice la figlia.
- Ma che rubavo! ... m'arrangiavo! ... eppoi a casa c'era la fame! -
- Eppoi, che hai fatto? - sono curioso.
- Di tutto, ma soprattutto ho cantato ... quello che mi piaceva fare ... mio padre non voleva, lo facevo di nascosto ... ho vinto anche a "La corrida, dilettanti allo sbaraglio", quando ancora la trasmettevano per radio. -
Il resto della cena trascorre nell'ascolto di Carmelo e del suo sogno di diventare un cantante.
- ... ancora due anni e poi andrò in pensione e smetterò di fare il custode dello stadio ... - conclude.
La commemorazione dei miei cinquantotto anni finisce con un brindisi in mio onore. Uno spumante siciliano ... ma sì ... viva la Sicilia! 
- A tutti noi! - dico alzando il calice.
Prima d'uscire ... il padrone del locale ci fa una foto ricordo ... ma sì! ... tanto so che andrà su Facebook, inutile resistere ... anch'io in un social network, con buona pace di Mark Zuckerberg!
Mio figlio mi riporta a Noto. 
Attraverso i finestrini dell'auto guardo i muri di pietra lavica, violati da manifesti strappati e sporcati da scritte incomprensibili. 
Viva la sporca, scura, caotica, violenta Catania!
Sì, anche Tu sei piena di fantasmi, li sento ... aspettatemi, tornerò ... tornerò per sempre e mi unirò a voi ... ci racconteremo le nostre storie.



domenica 4 maggio 2014

Il pranzo degli acciaccati.


Ieri mio nipote mi ha telefonato, anzi gli ho telefonato io ... come tutti quelli della sua generazione: ti fanno una squillo e tu devi chiamarli.
- Ciao zio, come stai? -
- Bene e tu? -
- Bene, bene ... volevo farti un salutino. Sono qui a Milano per qualche giorno ed ho pensato a te. -
- Bravo, è gentile da parte tua ... sei il mio nipote preferito! -
- Non vale, lo dici a tutti! -
- Beh ... io vado a cicli ... c'è quello tuo, poi quello di tua sorella ... dell'altra nipote ... e così via. -
- Sei forte zio, hai una risposta per tutto. -
- Tu sei forte, tu che sei giovane. Come va? ... allora cucini? -
Mio nipote ha intrapreso la carriera del cuoco. E' bravo ma ancora un po' pasticcione ma noi in famiglia vediamo in lui germogliare il seme del genio.
- Certo ... mi hanno preso in un ristorante a Gallipoli. Ci lavoro fino a settembre. Ieri, comunque mi ha fatto lavorare il nonno. Ha voluto che gli preparassi dei piatti per il pranzo degli acciaccati del mercoledì. Ho preparato delle lasagne con la crema d'asparagi e dei saltinbocca alla romana. Sono restato anch'io a pranzo ... sapessi zio! ... mi dovevo dare dei pizzicotti per non scoppiare a ridere. Son troppo forti quei vecchietti! -
Devo delle spiegazioni per chi non fa parte del cerchio della nostra famiglia.
Il pranzo degli acciaccati è un evento inventato da mio padre. Si celebra ogni mercoledì e partecipano, oltre mio padre, sei - sette adepti selezionati per cooptazione. L'età media è sopra gli ottant'anni. Il più giovane ne ha settantacinque (è il menestrello poiché suonatore di chitarra) mentre il più anziano novanta (è l'artista poiché buon pittore).
Io non ho mai partecipato a quelle allegre riunioni (e neanche i miei fratelli) ma solo occasionalmente i miei figli ed i miei nipoti.
Quindi le notizie che si hanno provengono dai nostri ragazzi quando li spiamo mentre si raccontano fra di loro le esperienze vissute fra gli anziani.
Sembrerebbe che mio padre occupi sempre il suo posto di capotavola, davanti a lui le due ali di convitati. Insomma la sua corte ... dei miracoli ... perché non c'è uno solo che non lamenti dei problemi di salute ... da qui il nome dato al pranzo, degli acciaccati per l'appunto.
Mio padre si chiama Cesare e penso che sia stato vittima del suo nome perché ha sempre creduto d'essere la reincarnazione del personaggio storico malgrado che la vita non gli abbia mai dato l'opportunità di provarlo. Un mio amico, Michele, quello stesso che dava dei nomignoli a tutti (vedi il racconto "il Pipa"), lo chiamava (lo chiama ancora) l'Imperatore!
Telefono a mio padre.
- Ciao papà come va? -
- Male. -
Chi ben comincia è a metà dell'ovra. Cerco di cambiare discorso.
- Com'erano le lasagne con la crema d'asparagi? -
- Buone. -
Uhmmm ... monosillabi.
- Tuo nipote m'ha detto che hai fatto un altro cazziatone al povero signor Sergio. -
E' un signore ultraottantenne con qualche problema fisico di deambulazione e particolarmente taciturno.
- Per forza è un cretino! ... viene, mangia e non parla mai ... gli chiedo se gli piace il cibo e lui mugugna! -
- Ma se lo tratti così non verrà più? -
- Verrà, verrà ... me l'ha detto Lucia. -
La figlia dell'artista novantenne.
- Perché lei? Fa anche lei parte del club degli acciaccati? -
- No. Ma lei ascolta quando Mario telefona e poi gli conferma ciò che l'interlocutore ha detto ... sai lui è un po' sordo. Mario ha telefonato e Sergio ha detto che sarebbe venuto ... Lucia ha confermato. -
- Ah, capisco. -
- Eppoi, adesso c'è un motivo in più ... dovremo commemorare Gianni che se n'è andato. -
- Il signor Gianni! ... è morto! -
- Certo che è morto ... aveva fatto già tre infarti! -
- Mi spiace, papà ... non sapevo. -
- E' la vita ... figliolo! -
Non si sa mai cosa dire in questi frangenti. Improvviso.
- Vi mancherà al vostro pranzo ... -
- Sì, certo ... lo celebreremo la prossima volta ed al contempo festeggeremo il nuovo entrato. -
- Lo sostituite di già? -
- Certo che lo sostituiamo ... ho la coda fuori la porta ... è un privilegio far parte del "Accia Club"! -
Sorrido.
- Non lo metto in dubbio. -
- Mi fai avere quel bordeaux che mi piace tanto? ... sai, è per Gianni! -
- Certo, è per Gianni ... papà. -

sabato 3 maggio 2014

Amicus Plato sed magis amica Veritas

vignetta (1)

Ho letto da poco un articolo scritto qualche settimana su un blog che si chiama "Amicus Plato sed magis amica Veritas" (sono amico di Platone ma ancora di più della Verità; nota del traduttore) (2).
Sono uno dei follower di questo "blog (http://amicusplatosedmagisamicaveritas.blogspot.com/) che è gestito dalla signora Rosa Elisa Giangoia (ho il sospetto che sia stata professoressa di materie umanistiche). Il post che ha stimolato il mio interesse è stato scritto da Carlo Biancheri ed è intitolato "Dilettanti allo sbaraglio".
Adoro questo blog che pubblica (periodicamente) dei post che trasudano citazioni (rigorosamente precise ed appropriate).
Nel caso specifico l'autore, per sostenere la sua tesi, scomoda Manzoni, Pirandello, Pajetta, Ruini, il Concilio Vaticano II, Maritain, Chenu, Congar, Nietzsche, Savonarola, Prodi, Schultz, Aristotele (come poteva mancare? Vi domanderete voi?). Ma non è finita! Nelle risposte ai lettori il signor Biancheri s'aiuta con Gioberti, Mussolini ed il grande Ugo (Foscolo).
Ci avrei aggiunto anche Cattaneo e Salvemini ... ma si sa, io sono uno che esagera!
La prego signora Giangoia non interpreti male queste mie righe. Non mi sto burlando del suo blog, la mia invidia (non saprei proprio scrivere un post con tale concentrato di buona cultura) si stempera attraverso l'ironia.
Al di là del divertimento d'una lettura che mette alla prova costantemente le mie conoscenze accumulate faticosamente in 58 anni di vita, gli argomenti toccati dal blog sono sempre seri e trattano aspetti socio-politici della nostra Italia. Argomenti che m'interessano molto.
La tendenza del Blog è quella di bacchettare tutti sulle dita e d'imputare i principali problemi su cui faticosamente galleggiamo all'insipienza ed all'approssimazione della nostra classe politica (compresi Grillo, la Lega ed altri Savonarola coevi).
Concordo, e chi non potrebbe farlo?
Ma non basta ... sarebbe troppo semplice, purtroppo non è sufficiente la reprimenda  per uscire dal pantano in cui siamo ma una azione più di lungo periodo.
Io non penso che gli uomini politici od i dirigenti in carica che pretendono di governare l'Italia siano più idioti di quelli che hanno popolato le stanze del potere dalla costituzione della nazione (e non voglio andare più lontano) fino ai giorni nostri. Gli stupidi, i poco da buono ed gli approfittatori sono sempre esistiti fin dai tempi di Cavour.
Un esempio: la famosa frase "tutto cambia affinché nulla cambi" è stata messa in bocca ad un tipico parassita meridionale vissuto in quel periodo. Sul suddetto personaggio è stato scritto un bel libro e realizzato un magnifico film.
Fatela dire ad un qualsiasi politico meridionale contemporaneo, stonerebbe? No, non penso, rimane attuale.
Qualcuno direbbe: non tutti sono così! Certo, certo ...
Per chi ha riminiscenze storiche, vi ricordate il "trasformismo"? Depretis, Crespi, Giolotti vi dicono niente? Io i voltagabbana me li ricordo da quando ero bambino. E lo scandalo della Banca Romana? Forse evoca qualche parallelismo col Banco Ambrosiano, Ior e più recentemente col Monte dei Paschi di Siena.
Il solito precisino direbbe: ma sono eventi che non hanno la stessa natura! Certo, certo ...
Può aiutare, il ritorno dei ricordi sulle malevicende che hanno accompagnato la Storia del nostro paese nei primi decenni della sua esistenza, la lettura degli articoli di Gaetano Salvemini.
Tralascio di soffermarmi sul periodo fascista su cui una vasta letteratura mostra l'assoluta inadeguatezza dell'allora classe dirigente.
Vogliamo parlare del secondo dopoguerra, allora?
Beh, è storia recente. Per noi forse, ma non per i nostri figli a cui consiglio d'andare a ricercare un film le cui vicende possono benissimo riflettersi ai giorni nostri (L'Expo di Milano?). Si tratta di "Mani sulla città" dell'ottimo Francesco Rosi, protagonista Rod Steiger. Sono gli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra. 
Come vede signora Giangoia io mi permetto d'ironizzare sul suo blog e lei cosa dovrebbe dire del mio con tutti questi riferimenti? Non mi avrà mica contagiato?
Ma io sto parlando di Storia, della nostra Storia ... quella che io ricordo ai miei figli, ai nostri figli.
Quindi non nutriamoli di facili illusioni: i cialtroni sono sempre esistiti e sempre esisteranno insieme ai pressapochisti incompetenti.
Ma non è l'Italia che fa gl'italiani, ma gl'italiani che fanno l'Italia (oddio, un altro riferimento ad una frase nota!) quindi noi siamo quello che siamo e di conseguenza i politici non sono altro che la nostra immagine. Ci si ribella a questa affermazione, lo so.
Perché?
Perché fa male vedere la nostra vera proiezione come nel ritratto di Dorian Grey (ancora? ... e basta, con le citazioni!).
Certo, che fa male!
Ma è inutile distruggere a colpi di pugnale il nostro ritratto perché distruggeremmo noi stessi.
Quindi?
Quindi, se non vogliamo degli incompetenti e delle banderuole, al governo dobbiamo innanzitutto cambiare noi cercando d'eliminare i nostri difetti lavorando con umiltà per migliorarci. Solo così ne usciremo.
Non sarà un lavoro di solo qualche anno forse ci vorrà almeno una generazione. Sì, lo so quello che ho appena scritto provocherà una sfilza di pernacchie ... ma è quello che intimamente sento e credo.
Solo il lavoro a testa bassa potrà aiutarci malgrado i nostri handicap. Ma non si tratta d'un "fatigà" fine a se stesso. Si tratta di recuperare l'eccellenza insita nella nostra tradizione culturale affrancandoci però dall'italico individualismo.
Dobbiamo smettere d'essere italocentrici (sapesse signora Giangoia quante volte me lo ripeto!) ma dobbiamo cominciare a vedere noi stessi nel contesto mondiale. Continuare a guardare il nostro ombellico non serve a molto mentre andiamo allo sfascio.
Siamo un paese povero di materie prime e non abbiamo la potenza finanziaria che hanno altri paesi europei .
Me ne fotto (scusi il termine, signora) che ci si gonfi il petto dicendo che siamo la settima potenza mondiale. Per quanto tempo? Ma lo siamo veramente?
Alcuni paesi europei per secoli hanno accumulato e concentrato grosse ricchezze attraverso lo sfruttamento d'altri paesi colonizzati, altri, non avendo le colonie, hanno solo più modestamente lavorato mettendo a frutto le loro eccellenze.
Le nostre origini sono rurali e contadine. L'unica vera colonia che l'Italia ha avuto è il suo meridione e non è bastato per accumulare la ricchezza necessaria per creare grossi mastodonti finanziari. Gli stessi che consentono ad un paese di sostenere la competizione mondiale. 
Siamo un paese di piccole e medie aziende e per troppo tempo ci siamo detti "small is beautiful".
Ma che fare, adesso?
Semplice, bisogna ricominciare a fare, liberandoci dall'illusione che sempre e comunque "io me la cavo". Dobbiamo prodigarci molto umilmente a:
  • potenziare la scuola e l'istruzione. Solo la cultura può debellare i principali difetti degl'italiani: il credere che la cialtroneria sia uno strumento di riuscita, il non rispetto per la natura, l'individualismo, l'omertà del Sud, l'accettazione e la convivenza col malcostume;
  • consorziarci per fare Ricerca e Sviluppo, investendo sul lungo periodo, defiscalizzando tutto ciò che produce innovazione. Le aziende che lavorano nello stesso settore dovrebbero unirsi per sviluppare nuovi prodotti invece di far concorrenza fra di loro;
  • investire sul territorio, accettando anche finanziamenti di chi i soldi li ha. Chi si ne frega se i palazzi, le opere ed i monumenti storici l'acquistano gli stranieri? Non possono portarli via e Pompei, per esempio, non si autodistruggerebbe. Il patrimonio artistico è meglio che sia di proprietà d'uno straniero efficiente piuttosto che d'uno italiano deficiente. La Mona Lisa è preferibile che resti al Louvre, almeno sappiamo che è più sicura;
  • trovare finanziamenti esteri che mantengano alta la nostra eccellenza (Moda, Turismo, Servizi, Agro-Alimentari). Se l'alleanza Alitalia ed Ethiad dovesse funzionare sarebbe un bel colpo ed un bell'esempio. Perché non favoriamo lo sviluppo dei Shared Services od i Customer Services nel Sud dell'Italia? Certo, gli stipendi non saranno altissimi ma col 13% di disoccupazione (e quello giovanile al 42%), vogliamo fare i difficili?
  • sviluppare tutto ciò che è legato all'informatica, al digital ed alle telecomunicazioni (magari studiando perché avventure felici come Tiscali e Tim, siano naufragate). Inutile insistere a voler sviluppare lo sviluppo con investimenti a "capital intensive", per farlo abbiamo massacrato il Meridione ed alla fine cosa abbiamo ottenuto? Disoccupazione (Termini Imerese);
  • combattere senza tregua e senza sosta la malavita organizzata e l'evasione fiscale punendo senza clemenza chi ne risulta colpevole.
Nessun politico saprà fare tutto ciò anche se competente. Solo gl'italiani possono arrivarci se ci credono e se assumono un atteggiamento più umile ricordandosi che non siamo al centro del mondo ma ne facciamo parte. Non dobbiamo confrontarci con noi stessi (al diavolo le beghe interne!) ma col resto dell'umanità che va molto più veloce di quando in generale si possa pensare.
Solo una forte determinazione nel voler tutto ciò ci consentirà d'avere i governanti che aiutano nelle realizzazioni delle predette azioni.
Altrimenti ci teniamo i politici che ci meritiamo, compresi i demagoghi.
Io la penso così signora Giangoia e mi scuso con lei se anch'io mi sono lasciato andare in qualche citazione.

P.S. Ho letto l'articolo della signora Giangoia Dove va la letteratura? Dio bono, devo rileggere il Giusti: l'ho totalmente rimosso dalla memoria! ...


(1) Il disegno riportato su questo post è stato eseguito da Marco Martellini e s'intitola Homo Ridens: tributo semiserio a Darwin. Troppo forte! Non ho resistito e l'ho pubblicato, molti l'hanno già fatto. Mi scuso col valente disegnatore.

(2) Lo diceva Aristotele che aveva avuto come maestro Platone ma sembrerebbe che quest'ultimo usasse la stessa frase riferendosi a Socrate, a sua volta maestro di Platone. Insomma i filosofi di quel tempo se la dicevano fra loro!