Camminavamo lungo Corso di Porta
Romana.
La primavera era imminente ed io l’attendevo
con trepidazione.
La giornata poteva definirsi quasi
tiepida.
Ero contento e la testa era sgombra di
pensieri. Pregustavo i giorni a venire e mi dicevo che non ero fatto per vivere
in paesi dal lungo inverno.
- Un giorno tornerò al sud, come gli
uccelli migratori.- dissi a mio figlio.
All'epoca lui aveva dieci anni ed io
quasi quarantatré.
Gli prendevo la mano solo quando attraversavamo
la strada. Forse era già grande per quel gesto ma a me piaceva tenergliela. Malgrado
l’età la sentivo forte.
- Non è bello essere come gli uccelli,
papà! –
- Perché? –
- Perché vedi tutto dall'alto e gli
uomini devono sembrare piccoli. Quando scendi giù, t’accorgi che non è così! –
Aspettammo che il semaforo diventasse
verde per i pedoni.
- Ed allora? –
- Allora non è bello credere una cosa
che poi non è vera! –
Il semaforo ci diede via libera e lui cercò la mia mano. Gliela presi ed attraversammo.
Ma da dove gli vengono queste
riflessioni? A dieci anni! Pensai.
- Quello che dici non è del tutto
esatto perché gli uccelli possono farsi un’idea sbagliata delle cose osservandole dall'alto la prima
volta poi col tempo sono in grado di capire che ciò che vedono
piccolo non è così nella realtà. Questa si chiama esperienza. –
Non mi disse altro e per qualche
minuto la nostra passeggiata continuò in silenzio.
- Papà? –
- Sì, tesoro. –
- Ma avere esperienza vuol dire non
credere più a niente? –
- No, vuol dire credere in quello che
tu hai imparato proprio accumulando più esperienze. Bisogna fare come gli
uccelli volare in alto e poi scendere in basso. C’è gente che non vola e resta
sempre sulla terraferma e crede in cose che sono molto vicine senza rendersi
conto che vi possono essere delle alternative, altri credono nelle cose
guardandole dall'alto senza rendersi conto che possono essere distorte dalla
distanza. Ecco nella vita la vera esperienza te la fai così: un po’ volando ed
un po’ planando sulla terra. Hai capito? –
Mi fece cenno di sì guardando sempre
davanti a sé. Io ebbi l’impressione d’avergli detto qualcosa troppo difficile
per la sua età.
… … …
Adesso lui ha quasi venticinque anni
ed io quasi cinquantotto.
Siamo ancora in Corso di Porta Romana.
Cerco di tenere il suo passo.
- Papà, vorrei lavorare per una ONG (Organizzazione
Non Governativa; nota dell’autore) che s’interessa dello sviluppo dell’agricoltura
nei paesi poveri. –
- Ma è pericoloso? Dove vuoi andare? –
- Non lo so. Mi piacerebbe capire di più questo mondo e conoscerlo di più per farmi delle mie idee. Devo accumulare più esperienze. Voglio fare come gli
uccelli che volano alto e poi scendono sulla terraferma. –
Aveva capito.
- Vengo con te.- vorrei dirgli, ma
taccio. Anch'io alla sua età avevo lo stesso senso dell'avventura.
Ma perché crescono? Mi chiedo.
Sento un’irrefrenabile voglia di prendergli
la mano e tenergliela per sempre perché non vada da nessuna parte.