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giovedì 27 febbraio 2014

La sedia del barbiere



Qualche giorno fa, ero a Milano e decisi di camminare per la città che si svegliava. Era la mattina d'un sabato oppresso da una coltre nuvolosa ed opaca.
Camminai a zonzo e mi ripromisi d’arrestare il mio vagabondare nella prima bottega di barbiere che avrei trovato aperta. M'ero svegliato presto e non riuscendo a prendere sonno decisi che sarebbe stato bello vedere la città ridestarsi.
Quando sono in Italia, immancabilmente affido la mia grigia capigliatura ai figari nostrani.
Mi dispiace per i cerusici del resto del mondo ma i barbieri italiani sono insuperabili! Non riesco a nascondere il mio orgoglio quando dichiaro di venire dal paese che sa cosa vuol dire un taglio di capelli maschile. 
Perché l’Unesco non mette i figari italiani nel novero del patrimonio per l’umanità? 
Posso essere ancora più campanilista? Ecco i migliori sono quelli meridionali! Iniziano da piccoli scopando per terra.
... ... ...
Mi ricordo il mio primo barbiere … si chiamava Antolina, signor Antolina.
Il primo taglio me lo fece quando avevo tre anni. Mia nonna (allora vivevo con lei) lo fece venire a casa. Mi misero su una sedia, con dei cuscini sotto.
- Adesso il signor Antolina ti taglia i capelli, così diventi grande. – mi dissero per farmi star buono.
Mi tagliarono così i miei primi riccioli, quelli che avevo quando nacqui. Mia madre chiese che fossero conservati. Chissà dove saranno?
Il barbiere di una volta si recava a casa dei suoi clienti per tagliare i primi capelli e gli ultimi, quando si è pronti per entrare dentro la bara. Ti accompagnava per tutta la tua esistenza.
Crebbi.
Il signor Antolina smise di tagliarmi i capelli a casa. 
Cominciai ad andare nella sua bottega e mi misero a cavalcioni d'un seggiolone da cui spuntava la testa di cavallo in ghisa. 
Quando fui troppo pesante mi trasferirono sulla sedia degli adulti, mettendomi un cuscinone sotto. 
Un giorno me lo tolsero. 
Dopo qualche anno oltre a tagliarmi capelli mi fu rasata la peluria del viso. 
Trascorse un lustro e il signor Antolina chiese se potevo accucciarmi un po’ perché non ci arrivava con le braccia. 
Il giorno in cui cominciai a leggere il giornale mentre il cerusico lavorava non tardò ad arrivare.
Passarono diversi anni, qualche decennio lontano dalla Sicilia e quando tornai il signor Antolina era vecchio seduto su una sedia in un angolo della sua bottega. Il morbo di Parkinson gli aveva aggredito la mano. Mentre suo figlio con un gesto degno d’un torero, stendeva il bianco lenzuolo su di me i nostri sguardi s’incrociarono. 
Lui non mi riconobbe.
- Che taglio vuole? – mi chiese Antolina junior.
- Quello che mi faceva suo padre. –
... ... ...
In quel sabato  brumoso il mio errare s'arrestò non lontano dalla Stazione Centrale.
Quando entrai nella bottega del barbiere in via Vittor Pisani, mi resi conto che ero il primo cliente della giornata. 
- Buon giorno, dottore. – mi disse il proprietario venendomi incontro con un sorriso ruffiano.
Sì, ero in Italia.