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Caspita, sono proprio piccoli questi indonesiani! –
Mi
mordo la lingua dopo aver parlato. Guardo i miei compagni di viaggio: non sono
mica molto più alti!
Christophe
mi sorride comprendendo il mio imbarazzo. Michel Chan come tutti gli orientali
resta inespressivo.
Siamo all'aeroporto internazionale di Kuala Lampur. Dobbiamo recarci per una visita
lampo a Jacarta. Una riunione di mezza giornata in un hotel vicino all'aeroporto.
Poi rotta a Singapore con scalo finale a Ho Chi Minh City.
Tutti
questi fusi orari! Alla fine della settimana sarò stanco morto, dopo il Vieth
Nam ci sarà Tokio! Cristo, ho quasi sessant'anni mica sono un ragazzino!
L’imbarco
non dovrebbe tardare. I viaggiatori che affollano la sala di fronte al gate sembrano per la maggior parte degli
immigrati che hanno lasciato la campagna. La Malesia è ricca, più dell’Indonesia. Questi lavoratori tornano a casa.
Penso
a Mark, lui viene dallo Sri Lanka. Lavora presso di noi, in Sicilia ed è
arrivato in Italia dieci anni fa. Su una barca piena di disperati come lui. Due
mesi di viaggio su mezzi di fortuna pagando le mafie dei paesi che
attraversava.
Adesso,tutto quello che guadagna è destinato al suo villaggio dove crescono i suoi due bambini. Non gliene frega niente di stabilirsi in Italia, lui vuole morire sulla sua isola. Faceva il pescatore prima ed anche lui vuole tornare a casa.
Adesso,tutto quello che guadagna è destinato al suo villaggio dove crescono i suoi due bambini. Non gliene frega niente di stabilirsi in Italia, lui vuole morire sulla sua isola. Faceva il pescatore prima ed anche lui vuole tornare a casa.
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Dove vive la tua famiglia? – chiedo a Michel Chan.
-
A Kuala Lampur. –
Lui
è responsabile del sud-est asiatico. E' cinese.
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Perché non a Giacarta? –
-
Il costo della vita è più alto e poi è una città caotica. Il traffico è
pauroso. Kuala Lampur ha molte più infrastrutture, è meglio organizzata. –
-
Bambini? –
-
Due. –
Mi
guardo in giro. Christophe ed io siamo gli unici occidentali. Mi sento bene in
mezzo agli indonesiani. Le
donne che portano tutte un fazzoletto attorno alla testa, unico segno della
loro religione d’appartenenza. Parlottano fra di loro in maniera discreta ma
continua e producono un brusio di sottofondo come quello delle api operose di ritorno all'alveare. Sono pieni di dignità e quasi tutti in coppia, mi danno
l’impressione di persone umilmente tenaci. Si legge la gaiezza nei loro occhi.
-
I Malesi hanno cominciato prima a costruire ed ad impegnarsi per attrezzare il
loro paese. – mi dice Christophe – Fra i due paesi c’è una generazione di
differenza. –
-
… ed i tuoi bambini vanno in una scuola cinese. – chiedo a Michel Chan.
-
No, internazionale. Però fanno due ore di mandarino alla settimana. A noi non
piace il metodo d’insegnamento cinese. –
-
Perché? –
-
Troppo severo, troppo competitivo. –
-
Alla cinese. – aggiunge Cristophe. Lui è responsabile finanziario di tutta l’Asia - Come
credi che la Cina sia riuscita a forzare le tappe per creare la sua economia?
Adesso hanno bisogno di creare una classe media, una classe dirigente che
s’imponga sul piano mondiale. In tre generazioni si è passati dal contadino al
manager. Quante generazioni ci sono volute nei paesi occidentali? –
Guardo il francese dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri, nato e cresciuto a
Aix-en-Provence. Prima che me lo dicesse credevo che fosse originario della
Loira.
-
… eh tu, da quanto tempo vivi a Shanghai? -
-
Ormai due anni … prima ero in Corea, a Seul … il sistema scolastico coreano è
ancora più severo. Gli studenti, fin dalle elementari, studiano sempre.
Cominciano la mattina e finiscono la notte. Dopo la scuola normale, vanno in
quella privata … li massacrano di nozionismo! –
-
Ah sì, ed io che credevo che il paese principe del nozionismo fosse la Francia!
–
-
Ah no, no … ti posso giurare che il nostro insegnamento è rose e fiori (espressione che non esiste in inglese ma il traduttore si lancia in libertà interpretative) rispetto
a questi paesi! –
-
Caspiterina! – sono veramente impressionato.
-
… ma c’è un problema in tutto questo! –
Lo
guardo nascondendo l’apprensione che è nata in me pensando all'educazione impartita ai miei figli … certamente meno dura e sicuramente scevra da ogni
stress … insomma all'italiana. I figli so' pezzi 'e core!
-
Quale problema? –
-
L’assoluta mancanza di fantasia. Questa educazione uccide qualsiasi capacità
creativa. –
Mi
rilasso … c’è ancora qualche chance per gl’italiani, allora!
Una
hostess dalla vocina tutta zuccherata annuncia l’imbarco … prima quelli della
classe business e noi, tre signori con trolley e cravatta, lasciamo i nostri
posti.
Mi
siedo accanto al finestrino.
I
passeggeri entrano in fila indiana fra le due serie di sedili, tutto procede
con ordine e disciplina. L’aereo si riempie ben presto.
Poco
prima che le porte si chiudano fa il suo ingresso un imponente signore con una
camicia multicolore di seta, un po’ pacchiana. Prende posto di fronte a me. Deve
essere un riccone importante perché è seguito da due uomini mingherlini con
cravatta che gli parlano continuamente e con rispetto. Lui non sembra neanche
ascoltarli. Sulla mano destra porta un anello carico di pietre preziose e tanto
grosso da sembrare un tirapugni. Prima di sedersi il grassone mi fissa ed io
lui. Ha uno sguardo volgare ed arrogante.
Sì,
avrai tanti soldi ma sembri un grosso porco!
Decolliamo
ed io osservo la terra allontanarsi sempre di più. Sotto chilometri e
chilometri quadrati di palme per la produzione d’olio, lo stesso che adesso è
considerato nocivo dall'industria agro-alimentare occidentale.
Penso
ai miei ulivi in Sicilia.
Another oil, another country
.